MOSTRE - LA GENIALE FOLLIA DI LIGABUE



Quando tento di immaginare il concetto di "genio", spesso lo descrivo come qualcosa di puro, inafferrabile, assolutamente non replicabile. Un fattore X che, a mio parere, può risiedere nelle anime più disparate senza distinzione di ceto, ricchezza o etnia. Un qualcosa di imprevedibile e, al tempo stesso, sorprendentemente sconvolgente.


Questa personalissima introduzione mi serve per descrivere lo stupore e l'ammirazione che avverto nei confronti di Antonio Ligabue ogni volta che mi capita di osservare una sua opera. Un uomo vissuto al di fuori dai tracciati convenzionali della società moderna. Ligabue ha portato sulla sua pelle privazioni inenarrabili e un'alienazione che ne ha descritto un'esistenza viscerale, a tratti folle, vissuta quasi in parallelo con il mondo animale, ma probabilmente culla del Genio pittorico di questo artista a pieno merito oggi definito il "vero naif" dell'arte italiana.



Definire Ligabue e la pittura di Ligabue, a mio parere, non è cosa semplice. Un padre ignoto, tre cognomi, due culture differenti e una parabola vissuta tra disagio economico, culturale e psicologico non sono sufficienti per definire il fascino e la forza del suo Genio. Chissà cosa pensavano i suoi contemporanei quando lo vedevano vagare senza meta tra le radure lungo il fiume Po, imitando il verso dei cani o degli uccelli, protagonisti immortali delle sue particolarissime tele.


Non è difficile intuirlo. A Gualtieri, piccolo comune della Bassa Reggiana in cui Ligabue vive dal 1919, è chiamato Al Matt (il matto) e Al Tedesch (il tedesco). Antonio Ligabue nasce a Zurigo come Antonio Costa circa trent'anni prima. Elisabetta, la madre, di cui porta il cognome, è di origine veneta. Il padre, invece, ignoto. Elisabetta sposa nel 1901 il signor Laccabue, emigrato in Svizzera dal paese di Gualtieri (Reggio Emilia) che passa il cognome al piccolo Antonio. Affidato alla famiglia Göbel, Antonio cresce in un ambiente di cultura tedesca ma problemi psicologici e di inadattabilità sociale lo portano ben presto a lasciare la scuola fino al ricovero in un ospedale psichiatrico. La famiglia adottiva lo abbandona al suo destino e nel 1919 viene espulso dalla Svizzera. Condotto a Gualtieri, paese di origine del patrigno, viene ospitato in ospizio e qui, intorno al 1920, ha il suo primo contatto con la pittura.



L'integrazione è difficile: Antonio non conosce una parola di italiano, vive in estrema povertà e ai margini della vita sociale del paese, vagabondando tra le radure in prossimità del Grande Fiume. Per qualche tempo lavora alla costruzione degli argini del Po. Nel 1928 conosce Renato Marino Mazzacurati che ne scopre e ne guida l'incredibile talento pittorico insegnandogli l'uso dei colori ad olio. Internato più volte in manicomio per atti di autolesionismo (era solito percuotersi le tempie con i pugni), ne esce dopo la fine della guerra. 

Nel 1948 inizia a dedicarsi completamente alla pittura con il nome di Antonio Ligabue e, quasi contemporaneamente, critici e mercanti d'arte iniziano ad interessarsi seriamente alle sue opere dalle tinte forti, ispirate quasi totalmente dall'ammirazione nei confronti del mondo animale, con il quale l'artista si sente strettamente in comunanza. Nel 1961 viene allestita la sua prima mostra alla galleria La Barcaccia di Roma ed è la consacrazione. Colpito da paresi, continua comunque la sua attività artistica che due anni dopo culmina in una grande rassegna tenutasi a Guastalla. 

Antonio Ligabue muore nel 1965 e viene degnamente onorato con una retrospettiva alla IX Quadriennale di Arte Contemporanea di Roma. Il suo Genio lo rende ancora oggi uno tra i pittori italiani contemporanei più attuali e celebrati.

GALLERY - Di seguito, alcuni scatti fatti alla Mostra in programma al Complesso del Vittoriano di Roma fino al 29 Gennaio



















PER APPROFONDIRE

da RAI ARTE - Antonio Ligabue - L'arte difficile di un pittore senza regola (2008)

link alla Mostra "Antonio Ligabue" al Complesso del Vittoriano a Roma fino al 29 Gennaio

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