COME SI SPIEGA IL BOOM DI ARCIMBOLDO? COLORI, FANTASIA E GENIALITA'...
Attendevo da molto tempo la realizzazione di una bella mostra su Arcimboldo e devo dire che quella in corso a Palazzo Barberini mi ha davvero soddisfatto. L'esposizione era probabilmente più attesa del previsto e, considerate le code che in questi giorni si stanno formando davanti alla biglietteria, non mi sembra eufemistico parlare di un vero e proprio "boom" Arcimboldo, pittore secondo me spesso ingiustamente messo in secondo piano dalla critica ma che invece, a più di quattrocento anni dalla sua morte, si è scoperto amatissimo sia dai grandi che dai più piccoli.
Ma come si spiega questo grande successo del pittore milanese? Dal punto di vista strettamente personale, ho provato a dare la mia versione basandomi sulle emozioni che mi ha lasciato questa mostra. Emozioni che a mio parere ruotano attorno a tre parole: colori, fantasia e genialità. E per iniziare questa piccola storia su un artista così particolare e che in un certo senso ha saputo guardare molto oltre i tempi in cui visse, comincerei proprio dall'ultima delle tre: la genialità.
AutoritrattoGiuseppe Arcimboldo. Il pittore, al momento in cui eseguì l'opera, aveva 61 anni, come si evince dal numero che si può notare sulla fronte. |
Limitare Giuseppe Arcimboldo nella stretta etichetta del pittore di bizzarra maniera, sarebbe probabilmente riduttivo. Il nostro ebbe infatti una formazione artistica importante e articolata. Figlio d'arte (il padre Biagio era pittore presso la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano), esordisce nell'arte sacra verso il 1551 come disegnatore di cartoni per le vetrate della cattedrale milanese oltre a progettare un grande affresco per il Duomo di Monza (1556) e un arazzo con la rappresentazione della Dormitio Virginis per il Duomo di Como (1558). Contemporaneamente subisce probabilmente il fascino, ancora molto forte nell'ambiente milanese dell'epoca, della pittura di Leonardo e dei pittori nordici, che colpirono la sua indole di disegnatore e lo spinsero verso una particolare ricerca sull'espressione umana e sul mondo naturale.
LA PRIMAVERA(a sinistra) è una donna composta da una grande varietà di fiori, con il capo rivolto verso sinistra come l'Autunno. Tutta la figura ha origine da una composizione floreale, la pelle del viso e le labbra sono petali rosa, boccioli e corolle, i capelli sono un bouquet variopinto e rigoglioso, gli occhi sono bacche di belladonna. Una collana di margherite ne orna il collo, mentre il corpo è coperto da una vasta selva di foglie di differenti fogge. L'impianto allegorico del dipinto è stato largamente studiato, e dall'analisi risultano chiari alcuni particolari: si nota una preponderanza dell'iris sul seno della donna, mentre l'orecchino è formato da un'aquilegia; assieme al giglio che risalta sul capo, si tratta di fiori con una valenza simbolica molto evidente, in particolare in un'iconografia lontana da quella italiana.
L'ESTATE è il solo dei dipinti, nella versione originale e in quella del Louvre, a portare la firma di Arcimboldo, anche se la paternità dell'autore non è messa in dubbio per i restanti tre. Il soggetto è ancora una donna, ma, a differenza della Primavera, ha il viso rivolto verso destra: questo crea quindi una divisione a coppie dei dipinti.
La vita di Arcimboldo cambia però in maniera drastica e improvvisa nel 1562 quando diviene pittore di corte dell'imperatore d'Austria Massimiliano II. A Vienna, il pittore milanese, può infatti dare sfoggio della sua esperienza sublimata in una versatilità artistica non comune. Oltre all'attività di ritrattista ufficiale di corte, organizza feste, tornei e cerimonie per i quali provvede personalmente a disegnarne i costumi e gli allestimenti. Inoltre viene probabilmente a contatto con le illustrazioni naturalistiche e le svariate collezioni di animali (esposti ormai morti sotto teca) che arricchiscono le "Wunderkammern" viennesi dal gusto mostruoso e che affinano ulteriormente la sua ricerca del particolare. Infine la stima del Kaiser e, in particolar modo, del figlio Rodolfo II, porteranno Arcimboldo a sperimentare inedite forme iconografiche che genereranno il suo linguaggio artistico geniale e senza tempo. Prove tangibili sono le "Teste Composite" con i temi delle "Stagioni" e degli "Elementi", raffigurazioni grottesche che, se lette con estrema attenzione, si spingono oltre la bizzarra maniera proponendo una non comune, ma fortemente condivisa dai committenti, celebrazione della famiglia imperiale austriaca.
Alla morte di Massimiliano II, Arcimboldo segue la corte imperiale a Praga e continua a lavorare per Rodolfo, suo convinto estimatore e mentore assieme al quale condivide gli interessi per l'alchimia, l'esoterismo e le scienze naturali. E'lo stesso imperatore, assiduo frequentatore dello studio del pittore, a suggerirgli nuove chiavi di lettura per i suoi quadri che, con il tempo, diventano sempre più fantasiosi e cromaticamente ricchi. Giuseppe ottiene inoltre da Rodolfo la nomina a Conte Palatino e, nel 1587, il permesso di poter tornare nella sua Milano.
L'ultimo periodo della sua vita sarà caratterizzato da nuovi successi, come quelli ottenuti con le cosiddette "Teste Reversibili", composizioni di chiara influenza leonardesca per quanto riguarda il grottesco e di comunanza col genere delle nature morte ma di doppia lettura sia dal punto di vista dell'osservazione che del significato.
Giuseppe Arcimboldo muore a Milano nel 1593. Caduto in oblio nei secoli successivi, è stato però riscoperto a partire dall'inizio del '900 sull'ondata dell'esperienza surrealista della quale è stato, in qualche modo, inconsapevole anticipatore. Il lato giocoso, fantasioso e cromatico della sua visione del mondo, in cui vive una valenza enigmatica, inquieta e intrigantemente nascosta, rappresenta probabilmente la chiave di un successo artistico nel quale gran parte degli odierni fruitori si sente, probabilmente a giusta ragione, sentimentalmente partecipe.
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