ANALISI DI UN QUADRO: LA "DEPOSIZIONE DI CRISTO" DI JACOPO TINTORETTO (ARTICOLO+VIDEO)



@j_paul.philippe Analisi di un quadro: La deposizione di Cristo di Jacopo Tintoretto ⚠️ In Esposizione ai Musei Capitolini di #roma fino al 03 Dicembre⚠️ #analisidiunquadro #tintoretto #venezia #pittoriveneti #pittura #arte #storiadellarte #deposizione #quadri #madonne #cristo #croce #storia #art #kunst #paintings #sabato #sabatosera #mostre #mostrearoma #allontanarsidallalineagialla ♬ Jazz Bossa Nova - TOKYO Lonesome Blue

Fino al prossimo 03 Dicembre, nella Pinacoteca dei Musei Capitolini, è possibile ammirare la "Deposizione di Cristo" di Jacopo Tintoretto grazie al prestito delle Gallerie dell'Accademia di Venezia. La tela giunge per la prima volta a Roma.

Nel percorso artistico di Tintoretto l’opera la Deposizione di Cristo si colloca all’apice della sua carriera, quando il maestro ha ormai messo a punto lo stile, la tecnica e la pratica di esecuzione. Gran parte della critica concorda attualmente per una datazione intorno ai primi anni Sessanta del Cinquecento (1562).

La grande tela venne presumibilmente eseguita per l’altare maggiore della chiesa gesuita di Santa Maria dell'Umiltà alle Zattere, demolita nel 1821. Dopo l'Unità d'Italia, con la soppressione degli ordini monastici, l’opera enne assegnata all'Accademia di Venezia dove è rimasta per lo più ignorata o sottostimata dalla critica fino al restauro condotto da Giulio Bono nel 2008-2009 che ne ha restituito tutta la qualità e lo splendore.




Jacopo Tintoretto fu un pittore molto innovativo, la cui sensibilità contribuì a gettare il seme per quella che sarebbe stata la grande stagione barocca del Seicento. Anche in questa tela, le cui dimensioni provvide a progettare egli stesso, il Maestro veneto lo dimostra appieno. Il tema può essere infatti letto come una Deposizione di Cristo o un Compianto sul Cristo morto, possedendone le caratteristiche iconografiche di entrambi. 
Strutturalmente l'opera è però differente dai canoni tradizionali di queste due tipologie figurative, rappresentate in orizzontale. Tintoretto estende invece la scena diagonalmente, dando vita a due marcate linee rappresentate dal Cristo e dalla Madonna. Sulla sinistra ci sono le figure maschili (Gesù e Giovanni di Arimatea), sulla destra quelle femminili (la Vergine, probabilmente Maria di Cleofa e la Maddalena che chiude la scena con le braccia aperte) che appaiono intrecciate tra loro in vorticosa agitazione.





Oltre a quella di Gesù l'altra figura importante della scena è quindi la Vergine, rappresentata come Mater Dolorosa, particolare non casuale. La realizzazione della tela venne effettuata verso le battute finali del Concilio di Trento. In quel periodo, su ispirazione conciliare, nel mondo cattolico iniziano a circolare le prime affermazioni dogmatiche. Tra queste c'era il chiaro invito della Chiesa a rappresentare la Madonna non più assisa in trono come la tradizione medievale e quattrocentesca prevedeva, ma partecipe del dolore e morte di Cristo. Una morte che Maria vive nel proprio fisico con precisi canoni iconografici, pallore della pelle e bocca aperta, comuni a quelli del Figlio, particolari che esprimono una condivisione del dolore, richiesta dal rinnovamento ecclesiastico dell'epoca ai fedeli che, partecipando, alla messa si trovavano di fronte a questa tela.



I dettami conciliari traspaiono anche dall'aspetto umile della Vergine che tocca i piedi di Gesù e dal punto in cui convergono le gambe di Gesù e il ventre di Maria, punto in cui viene a formarsi una croce forte richiamo allo strumento della Passione e del dolore che poi porterà alla Resurrezione

Altra caratteristica della tela risiede nella maestosità delle figure, più grandi del reale, che reggono, con la forza della Fede, due pesi morti. Tintoretto toglie diverse figure tradizionalmente presenti in questa scena proprio per dilatare la maestosità delle figure. Esse sono molto plastiche e disegnate. Il motto obiettivo di Tintoretto era infatti rifarsi al "disegno di Michelangelo e al colore di Tiziano". Un chiaro richiamo all'opera del Buonarroti sembra infatti risiedere nelle braccia che cadono, per esprimere lo spirito che lascia il corpo, particolare iconografico probabilmente ripreso dalla Pietà Vaticana di Michelangelo, opera che però Tintoretto non vide dal vivo in quanto la sua presenza a Roma non fu mai storicamente accertata.   













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